L'Albinoleffe doveva stabilire se le recenti vittorie erano il frutto di una profonda metamorfosi o di un miglioramento non radicale. E alla vigilia dell'incontro il riferimento alla storia calcistica barese, giudice inappellabile, è stato inevitabile. Quattro risultati utili consecutivi non hanno mai cambiato pelle ad un Bari allestito improvvisando e sperando nella sorte.
Sulla partita c'è da segnalare, purtroppo, l'ennesima prova imbarazzante di Donda, adesso in competizione finanche col discusso Carozza; l'ennesimo partitone del senza contratto Gillet, i tre legni albinoleffesi che ancora vibrano, e l'instabilità dei reparti, soprattutto quello difensivo. Nel trionfo dell'efficienza contro l'improvvisazione cronica, la squadra di Conte ha evidenziato tutti i limiti strutturali che solo gli ingenui credevano scomparsi.
Ad "Albinoleffe", una volta metafora dell'assurdo, dove però funziona tutto e dove programmazione ed investimento vanno a braccetto senza tante elucubrazioni, succede che due paesini ameni con un polo industriale inferiore a quello di Bari, un bel giorno decidono di fondersi calcisticamente per essere "meno piccoli" e il risultato sortisce effetti fiabeschi: doveva essere la solita comparsata, come per il Licata anni fa, ed invece sfiora quasi sempre la A, maramaldeggia prendendoci a schiaffi con continuità fino a mollarci il ko definitivo l'altro giorno.
Una squadra che ha capito come "si fa", che si è tenuta stretta senza piagnistei e senza colpevolizzare le amministrazioni locali i vari Carobbio, Del Prato, Ferrari, Gori e Cellini rimanendo sorda alle sirene di società più prestigiose. Esattamente il contrario di quanto è stato fatto a Bari, a dimostrazione che spesso la buona gestione non è strettamente collegata all'investimento ingente. Si può tenere sotto controllo il bilancio e disputare buone stagioni. Basta saperci fare.
Situazioni ai limiti dell'assurdo, del grottesco, che finiscono invece per suscitare nello sfortunato tifoso la sensazione amara di scoprire una realtà in cui c'è dentro fino al collo ma che istintivamente rifiuta. Realismo e surrealismo, insomma, Chechov e Beckett a confronto, perché non è perdere con un super Albinoleffe che dà fastidio - quello, in fondo, una tantum può capitare - ma è il dover assistere impotenti ai diktat impopolari di via Torrebella in contrasto con quelli minimalisti ma efficaci di un Albinoleffe che sogna.
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