Al San Nicola tra calcio e patate

 Articolo per BariLive 30/8/2009

Al San Nicola tra calcio e patate
Un pò di amarcord e uno sguardo al futuro: su quel campo di patate non su può giocare a pallone


Dopo aver acceso quelli di San Siro, Ventura & C. hanno provato ad accendere i riflettori dell’astronave ventennale di Renzo Piano che, nonostante i nuovi pannelli pubblicitari a bordo campo che lo adeguano (finalmente) agli standard degli stadi di A, un audio decente (era ora), e l’avviso - come per San Siro - da parte dello speaker barese dei minuti di recupero, risulta sempre meno astronave e sempre più stadio tutt’altro che di serie A, comune a tanti vecchi da restaurare soprattutto fuori (nella mente della gente in particolare, roba complicata, insomma) laddove indisciplina degli automobilisti e dei pedoni la fanno da padrona. 


Non ne parliamo, poi, la zona stampa. Bari e Bologna, ovvero San Nicola, taumaturgo “rubato” dalla Turchia da 62 intraprendenti avi di Antonio Cassano, contro San Petronio, sapiente e dotto protettore della Bologna papale che il destino calendaresco ha voluto si incontrassero nella prima casalinga barese. Beppe Papadopulo, ex terzino destro di un Bari in bianco e nero, anzi pardon, di un Bari bianco con le due “mitiche” strisce rosse verticali sul lato sinistro, ai tempi in cui la formazione era quella con Ferioli Agresti Frappampina e, appunto, Papadopulo, è stato regista del nefasto 0-4 con cui il Lecce, a Natale 2007 nell’umiliare la squadra barese, ha involontariamente fatto scoccare quella scintilla dell’orgoglio con la quale, attraverso le note cavalcate targate Conte-Perinetti-Ventrone, l’ha fatta, in qualche modo, arrivare sin qua. Di Papadopulo, oltre allo smacco leccese, ricordiamo una celebre entrata a piedi uniti contro Stoppa, mitico “libero” pelato dell’Acireale degli anni 70 (epica la maglia con una A sul petto) con cui il Bari si è sempre contraddistinto nel proporsi come sparring partner ciclico e naturale per questo tipo di avversari, entrata che provocò un solco nel terreno del Della Vittoria che ancora oggi, con un po’ d’attenzione, si può vedere dagli spalti. Osvaldo era in forse? Naturalmente non ci credeva nessuno, solita pretattica di un allenatore navigato ed esperto come il toscanaccio che, quanto meno, ha un modo di porsi e… di sbuffare, lontano anni luce dal suo conterraneo Fascetti anche se, ci spiace dirlo, risulta essere molto più affascinante del nostro amico Ventura a causa dei suoi capelli brizzolati, molto meno affascinante, invece, risulta per quanto concerne l’onestà nel commentare la partita. Bologna la rossa e fetale, volgare matrona, rievoca in mente tante partite a cominciare da quella magica sera in Coppa Italia di 30 anni fa dove Gaudino siglò un gol vincente: altri tempi. Bologna, in odor di Toscana, che profuma d’amore ma, ahinoi, anche di morte, Bologna, come Genova, fucina del cantautorato per eccellenza, ricca città una volta contadina, “una Parigi in minore”, per dirla alla Guccini, priva calcisticamente del “mitico Villa” e di Gigi Maifredi col suo (ex) calcio champagne, si è presentata in campo con una inedita maglia verde che ha ricordato vagamente il Venezia, mentre il Bari, molto meno appenninica, in odor di Adriatico e del solito irritante modo di pensare levantino, anche lei “piccola Parigi”, proverbialmente senza mare, ultimamente più “rossa”, quantunque sbiadito, e sempre più fetale, ha risposto con la consueta casacca bianca che tante generazioni ha fatto innamorare ma che soprattutto non è mai passata di moda nell’atelier del tifoso barese che, nonostante i tempi grami, è riuscito ad indossarla sempre senza cambiarne i colori, rimanendole fedele nonostante siano stati messi a dura prova, per troppo tempo, con improbabili Pizzinat, Markic e Lipatin vari. 

Gran tifo in una curva nord mai stata così pulsante e piena di energie vocali, insieme ad uno striscione posto, però, indicativamente da tutt’altra parte - in tribuna est - che recitava “Let’s go Tim, We’ve a dream” quasi a voler strizzare l’occhio al possibile futuro presidente del Bari, ieri presente insieme ad un codazzo di gente che al polpo crudo della Baia di San Giorgio (guarda un po’, proprio dove è salpata la caracca barese 1000 anni fa a trafugar ossa), ha preferito il sushi coreano. C’era da confermare il Bari visto in frac a San Siro, nei modi di porsi, di ragionare e di trattenere palla e, perché no, di proporre gioco anche se, onestamente, le condizioni del terreno di gioco non lo hanno permesso. Pensavamo ai terreni dell’Alto Adige, sempreverdi e, soprattutto, sempre zuppi ma pur sempre praticabili e ci siamo domandati come fosse possibile incolpare solo il clima. 

Ci sembra davvero un modo riduttivo per disimpegnarsi da responsabilità. Ad Andria, a Matera, a Lecce, a Catania e a Siracusa e crediamo anche a Lampedusa e a La Valletta, a Malta, non ci saranno i terreni di Milano e di Bolzano ma sicuramente sono nettamente migliori di quelli del San Nicola, eppure non ci risulta che da quelle parti il clima sia migliore di quello barese. Anzi. Non è stata una gran partita, la noia moraviana per poco non aveva la meglio, e possiamo capire chi è stato preposto a descrivere la cronaca che, sicuramente, avrà avuto qualche difficoltà. Troppi tatticismi e troppo poco gioco intravisto dalle due squadre a causa sicuramente dello stato pietoso del terreno.

Da segnalare solo il bel duello tra Alvarez e Raggi, davvero un difensore sgusciante, rapido, alla Garzya per intenderci (forse anche più forte, oltre che più alto), un terzino che, dato il costo tutt’altro che impossibile (visti anche i chiari di luna dollaro-texani che illuminano le serate afose baresi), col quale il Bologna se l’è assicurato, sarebbe potuto tornare utile alla causa barese: peccato che se lo siano lasciato sfuggire, poi il solito Kutuzov, ormai, sempre preciso e goloso nell’appuntamento davanti al portiere avversario per il consueto banchetto di gol sbagliati (tra Empoli, Milano e Bologna, gol a parte, ne ha sbagliati 5) mentre, nonostante le giustificazioni di Ventura in sala stampa, non abbiamo francamente capito Allegretti in quel ruolo dal momento che non c’erano “Maicon” da contenere e soprattutto dal momento che l’ex triestino tutto è fuorché esterno alto. Ma Ventura avrà avuto i suoi buoni motivi. A ciò si aggiunga la fitta rete con la quale il Bologna ha imbrigliato il Bari a centrocampo per non farlo ragionare e il gioco è fatto. 

Un passo indietro rispetto a San Siro? Noi siamo dell’avviso di no. Ventura cercava conferme che, tutto sommato, crediamo gli siano giunte sia pur criptate a causa di molteplici fattori. Difficile giocare in quelle condizioni e arduo proporre un gioco: del resto non ci pare che gli emiliani abbiano tirato in porta più dei biancorossi. Formazione collaudata per il Bari con quei due lì al centrocampo che, ormai, non li leva più nessuno, davvero una garanzia, in attesa di tempi migliori e, magari, di schemi di gioco alternativi da usare all’evenienza (e crediamo opportuni) nei quali troveranno spazio Yago, Almiron e Donati e, quando saranno pronti, anche Kamata e Donda. 

Gillet, impassibile per la convocazione in nazionale, ha composto il suo compitino come sempre esternando sicurezza e bravura. Assurdo che per andare in Nazionale un giocatore bravo debba necessariamente militare in A, per giunta dopo appena una partita (mica un torneo intero), perché il portiere belga che ha sposato la causa biancorossa (e non solo la causa), lo meritava sin da tempi non sospetti nonostante la solita carente questione di centimetri. Dopo Preud’homme non ci risultano transitati portieri simili al mitico numero uno fiammingo. Al 30’ ci piace sottolineare la solita azione dubbia di cui abbiamo già detto all’indomani con l’Inter: si grida al rigore perchè Kutuzov che cade in area, chissà, forse sgambettato da Viviano. Rigore? Macchè, rimessa in gioco. 

Noi non sappiamo se era o meno rigore, quello che sappiamo per certo è che così come, nel dubbio, lo stesso sarebbe stato concesso all’Inter (come è stato concesso domenica scorsa per quanto, in effetti, c’era), così, nel dubbio, non è stato concesso al Bari quello di ieri dove, tutto sommato, nessuno avrebbe gridato allo scandalo anche per la dinamica. Bisogna imparare a conviverci, anche per non “far veleno”. Il popolo biancorosso della curva, mutuando Giuseppe Verdi, gridava “devi-vincere” perchè in effetti i presupposti c’erano tutti: il Bologna non era mica l’Inter dove per giunta, poco ci è mancato per darle il colpo del ko, ma ieri, vincere, non era proprio cosa. Meglio accontentarsi dell’imbattibilità, della classifica che continua a muoversi, e di una buona tenuta atletica, di cui, forse, nessuno ancora si è accorto. Una domanda sola: Sforzini, perché?
Massimo Longo

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