Qui Bari, san Siro e ritorno

Articolo per BariLive 24/8/2009
Cronaca del viaggio e di qualcosa di più al seguito della Bari
Qui Bari, san Siro e ritorno
Dopo otto anni di serie B finalmente la serie A


Dondolati dolcemente dal vagone pensavamo che di li a poco tutti i problemi del mondo si sarebbero risolti o, comunque, stavano per terminare. Elezioni, politica, pil, povertà, delinquenza, papy vari con relative escort, code autostradali, caldo torrido, incendi murgiani, l’Italia, Emiliano, Di Cagno Abbrescia, insomma tutto sarebbe passato nel dimenticatoio per lasciare il posto a sua maestà Campionato. E pensavamo anche al tempo passato - al troppo tempo passato - tra i campi del Tennessee della serie B, in provincia di Eboli, dove spesso il buon dio si è fermato, e quelli dove invece molto spesso la Bari se n’è tornata livida di cazzotti con dentro i borsoni un carico di umiliazioni.

L’eurostar correva senza fermarsi a Giulianova e il retropensiero era inevitabile: pensavamo a quante volte il treno si era fermato a San Benedetto del Tronto per trovare una coincidenza per Ascoli Piceno o a quante volte, per raggiungere Frosinone, si “tagliava” da Caianello con l’auto però, o ancora alle umilianti trasferte a Cittadella o in casa dell’Albinoleffe o le fermate a Rimini per incontrare Ricchiuti, Vantaggiato e i Malatesta, con puntatine cicliche alla ex “Fiorita” di Cesena, il tutto illuminato dalle luci di San Siro.
Pensavamo a Vecchioni, a Jannacci alla Vanoni che, immaginavo, lungo i caratteristici Navigli a consumare un aperitivo mentre, magari, stavano concependo una canzone. Milano vicino all’Europa, finalmente, quella Europa a cui i tifosi aspirano da quando, parliamoci chiaro, hanno visto altre squadre, apparentemente meno attrezzate della nostra, imbarcarsi per la”gate” 36 per Barcellona o per la “24” per Mosca, mentre Maran, Tardelli, Perotti, Materazzi, Carboni e Conte prendevano l’intercity notte per Grosseto o per Frosinone. Luci a San Siro, dunque, tra una vecchia 600 color beige targata MI 500 mila, le Alpi laggiù in lontananza quasi a voler profeticamente significarci che un’era stava per finire. E per sempre. Odor d’acqua dolce, di Naviglio pavese, di humus medievale, profumo di antico, una cotoletta ed un risotto alla milanese mai stati così buoni, e due patatine, invece, mai state così orribili, hanno fatto da antipasto alla gara giocata in uno stadio che per troppo tempo siamo stati abituati a vedere in TV imponendoci scorpacciate mediatiche dello stesso, ora calpestato dai nerazzurri, ora da quelli di Papy Berlusconi, ora per la Nazionale.

Adesso toccava finalmente alla Bari. Uno stadio così lo sognavamo da tempo. Tralasciamo la funzionalità dell’impianto (stewart funzionali messi in condizione di fare il proprio lavoro senza cayenne, segnaletica perfetta, qualche personaggio antipatico qua e la) ma l’idea di cimentarsi nel tempio del calcio italiano dopo tanti anni di oblio, soprattutto dopo la cavalcata dell’anno scorso, non ci ha lasciato indifferenti. Perdere a San Siro, intendiamoci, ci stava pure, ma noi, profeticamente (lo ammettiamo) un paio di giratine col tacco sulle famose palle del toro incastonato sul calpestio della galleria Vittorio Emanuele, a due passi dall’ex ufficio di Craxi, le abbiamo fatte e, proprio per la serie “melius est adbundare quam deficere” un quanto mai opportuno cero alla celebre “madonina” del gotico duomo meneghino, l’abbiamo pure acceso, non si sa mai. Lo abbiamo sempre detto: non era un caso che, dopo aver assistito al ritiro di Ridanna e dopo aver carpito il modus operandi di Ventura, nonostante evidenti limiti, ci eravamo sbilanciati nel manifestare ottimismo per la partita contro l’Inter che i più già davano per sconfitta sicura addirittura col pallottoliere. E, tanto per cambiare, i fatti ci hanno dato (ancora una volta aggiungiamo con orgoglio) ragione. Meriti baresi a parte, abbiamo avuti la fortuna di incontrare l’Inter subito. Certo, non erano queste le partite che contavano e nemmeno altre di analoga difficoltà che verranno, sia chiaro, ma un pareggio a San Siro contro la corazzata Inter, ad inizio torneo, oltre a cominciare a muovere la classifica che in A fa sempre bene, è un risultato prestigioso ma soprattutto è una iniezione di fiducia per il prosieguo del torneo che, per tanti motivi, si preannuncia irto di difficoltà a partire dalle vicende societarie ancora in chiaroscuro, per finire alla rosa che deve essere completata, subito, pena possibili problemi (ma questo texano perché non vuol rinforzare squadra adesso, aspettando le calende greche post-natalizie?): non tragga in inganno il risultato, non è, proverbialmente, una rondine che fa primavera. Oltre all’advisor Mora che è rimasto favorevolmente impressionato, erano in 5000 i tifosi baresi, ultrà e non, giunti fin qui da ogni parte d’Italia, dal nord soprattutto ovviamente, e si son fatti sentire anche in Piazza Duomo, i loro canti struggenti, civili, colorati, hanno echeggiato per tutto l’impianto milanese a volte persino coprendo quelli degli antagonisti nerazzurri, tifosi baresi che sin dall’altra sera, lungo il Naviglio, causa qualche inconfutabile accento udito con le nostre orecchie e accompagnato da sciarpa biancorossa, già erano presenti. Atmosfera d’altri tempi, i fantasmi di Masinga con la sua mitica testa pelata fumante, di Spinesi e di Cassano erano sopra le nostre teste e il Bari, bestia nera dell’Inter, si è nuovamente materializzato.

Struggente il primo tiro in assoluto del Bari, da parte di Alvarez al 3’, che pur velleitario, ci ha fatto tornare indietro nel tempo, emozionandoci: come dire, dove si era rimasti? A Protti e a Cassano, gli ultimi a tirare in porta in A. Era l’Inter che doveva fare la partita, e l’ha fatta, ma il Bari ben messo in campo da Ventura ha retto benissimo agli attacchi nerazzurri tanto che in sala stampa l’antipatico antipodo “Mou” col suo proverbiale tono gessato, oltre a recriminare goffamente per il Ramadan, è stato costretto a tirare le orecchie ai suoi per aver preso sottogamba (tipico di queste corazzate) l’impegno dopo aver tessuto lodi agli avversari, questo per onor di verità. Anche “Plinio il Vecchio”, sempre più canuto, Aldo Serena, un gradino sotto di noi a commentare l’incontro per una TV, ha tessuto gli elogi al “suo” Bari. Ottimi disimpegni sulla mediana difensiva con De Vezze e Gazzi pronti a respingere ogni proposta interista e, dove non potevano arrivar Masiello Ranocchia, e persino il tanto discusso Bonucci (che ha giocato molto bene nonostante il fallo da rigore commesso), ci ha pensato un super Gillet, davvero bravo e qualche volta determinante.
E’accaduto finanche che Ranocchia, nel tentativo di respingere un tiro violento di Eto’o, si sia letteralmente immolato sul pallone - alla Belluzzi per intenderci – facendolo assomigliare più ad un oplita spartano che ad un ateniese-giocatore di calcio, segno che la mentalità giusta c’è ed è stata recepita dopo gli insegnamenti di quel marpione di Ventura il quale, in sala stampa, è apparso ragionevolmente più raggiante, oltre che più affascinante del suo collega portoghese. Alvarez estremamente precipitoso, si è mostrato pericoloso con i suoi cross che, ahinoi, si son persi spesso nel nulla nonostante la buona volontà di Sforzini. Diversamente è andata nel secondo tempo con gli innesti di Rivas, come sempre troppo egoista, e di Langella, assolutamente determinanti. La superiorità interista era evidente ma non è apparsa netta anche perché il Bari nelle ripartenze si è disimpegnato bene, creando gioco e perdendo poco la palla risultando finanche propositivo. Peccato per Kutuzov alla fine del primo tempo, poteva portare in vantaggio il Bari: purtroppo è inciampato sul pallone perdendo l’attimo giusto. Al 10’ si è alzato netto l’urlo in curva sud dal settore barese: “Siete come la Juve” hanno urlato i tifosi, e come dar loro torto per il rigore dubbio per un fallo di Bonucci sul principe machiavelliano Milito che, senza indugi, ha giustificato i mezzi. Anche la mancata espulsione di Materazzi aveva lasciato un retrogusto di amarezza. Del resto, solo così potevano segnare quelli di Moratti. E’ il classico rigore, intendiamoci, che vedremo spesso darci contro soprattutto se si tratta di una grande, quindi non facciamone un dramma, anzi, piuttosto, prepariamoci ad altri così e ad altrettanti, magari, negatici. Al 21’ brivido profetico: Eto’o sbaglia solo davanti a Gillet tirando inspiegabilmente fuori. Gol sbagliato gol subito. Al 28’ Generale Kutuzov pareggia dopo un assist di Rivas: è apoteosi tra i tifosi (e anche tra di noi, se permettete…) che increduli piangono di gioia. Il momento è davvero catartico, sembrava di essere diventati di colpo mittle-europei o comunque competitivi. Gioca davvero bene la Bari, senza paura con uno spregiudicato 4-2-4 e non con un 10-0-0 alla Bolchi e con grande sagacia. E nonostante tutto l’Inter era fino a quel momento in vantaggio peraltro miseramente solo su rigore nonostante qualche inevitabile occasione mancata. E tanto per far capire quanto abbia giocato bene, alla fine si è persino recriminato per il gol clamorosamente sbagliato da Rivas nel recupero, solo davanti a Julio Cesar, che ha zittito i presuntuosi intersiti i quali avrebbero voluto fare un boccone solo dei galletti. Ben gli sta. Bravo Ventura nel “leggere” la partita: di quell’Allegretti messo su Maicon, forse, non se n’è accorto nessuno, chissà, magari adesso qualcuno sta imprecando sulla prestazione dell’ex triestino. E adesso, sotto con la dotta Bologna, “la vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul fianco padano e col “sedere” sui colli...”
Massimo Longo

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