Bari Siena

Editoriale per BariLive 30/11/2009

 La vittoria della determinazione. Ad un primo tempo scialbo e noioso in cui ci è parso che il giocattolo costruito con 4 lire nel corso di questi tre anni dal deux ex machina Giorgio Perinetti - sicuramente più bravo del suo collega Leonardi (capito, avv. Di Monda?) - si stesse rompendo definitivamente, complice forse la solita luna, bellissima e nitida - stavolta a trequarti - apparsa improvvisamente sopra le nostre teste ad inizio secondo tempo, è corrisposto un secondo tempo intenso, determinato, completamente diverso dal primo, ovviamente con i soliti errori sotto porta (guai non ci fossero stati, non sarebbe stato più il Bari) stavolta coi piedi di Bonucci, dove la squadra biancorossa ha letteralmente schiacciato in difesa con il vigore delle fasi concitanti di un palio sull’omonima Terra Rossa i contradaioli di Piazza del Campo venuti a Bari, dopo il flop in Tim Cup col Novara, per cominciare a risalire. E le premesse c’erano tutte anche per la solita storiella per cui, ad un cambio tecnico corrisponde in genere una sterzata. Sarà per la prossima volta, Malesani.


Queste partite, in altre epoche, il Bari le avrebbe perse regolarmente. Non abbiamo la certezza perché non siamo oracoli ma - statene certi - chi vi scrive conosce meglio di molti altri neo-critici occasionali da tastiera come funzionano certe cose dalle parti di Via Torrebella (ancor prima dalle parti di Via Putignani e dopo da quelle di Piazza Moro) e può affermarlo senza retorica. Le partite difficili, o che comunque si instradano in un percorso tortuoso apparentemente senza via d’uscita, e vinte sono quelle che ti danno più gusto in assoluto, sicuramente molto più di una ipotetica vittoria a San Siro o al Comunale di Torino contro la Juve.

Ci perdonino gli amici vicini alla destra (facciamo affidamento sul comun denominatore, ovvero quello bipartisan biancorosso), se paragoniamo questa vittoria a quella del “proletariato” soprattutto sulla scia del weekend appena terminato, qui a Bari, nel quale contaminazioni di una triste ricorrenza vagamente malinconica, nella quale è stata ridata dignità a Benedetto Petrone grazie ad una intitolazione, troppo tardiva, di una strada, e l’esibizione in piazza di cantanti e gruppi gravitanti nella relativa area politica, l’hanno fatta da padrona.

E già, perché è solo grazie alle intuizioni geniali di Giampi Ventura - ragazzino appena stempiato a cui non basta vincere qualsiasi confronto di fotogenia con i suoi colleghi seduti in panchina, allenatore eccezionale (per quanti, magari, lo scoprissero adesso), simpatico, serio, preparato e vincente che meritava ben altre fortune nella sua carriera - che è cambiato il canovaccio della gara: ci hanno pensato, infatti, il “metalmeccanico” Andrea Masiello, direttamente dall’ingranaggio difensivo, e il “cassintegrato” Giuseppe Greco direttamente dalla panchina, metaforicamente con le tute blu da lavoro. Insomma, una vittoria di fabbrica a tutti gli effetti, una catena di montaggio perfetta dal punto di vista organizzativo e intuitivo come davvero non ricordavamo da tempo. O forse si: è che tanti anni di mediocrità ci hanno fatto dimenticare troppo in fretta quelle poche immagini nitide di momenti simili.

Forse la scena più profetica è stata quella prima della partita, in fase di preriscaldamento, allorquando Ventura ha voluto stare vicino agli undici che aveva scelto di mandare in campo. Lo abbiamo visto bisbigliare, caricarli, assisterli quasi spiritualmente come un vero padre di famiglia mentre riscaldavano i muscoli. La sentiva anche lui la partita, sicuramente più di qualsiasi altra fin qui giocate, la posta in palio era troppo importante per non far mancare loro il fiato. Bravo Ventura. Abbiamo rivisto scene del ritiro di Ridanna, da noi ampiamente descritte nei nostri servizi dall’Alto Adige, dove, dopo aver rimproverato un giocatore reo di non aver eseguito a dovere un suo insegnamento, lo prendeva sottobraccio, lo abbracciava e se lo portava nell’angolo più remoto del terreno verde per consolarlo e per dargli coraggio ma soprattutto per fargli capire che sbagliare è crescere, imparare, vincere.

Dicevamo delle scelte coraggiose e vincenti di Ventura: e come definirle altrimenti quando si ha l’intuizione di sostituire un Alvarez sempre più irritante e forse meritevole di un periodo di riposo o quanto meno in panchina con un Antonelli spumeggiante, autore dell’assist vincente per Greco? O sostituendo un Barreto sulla cui inadeguatezza alla A (altro che “non ha fatto il ritiro, è indietro con la preparazione, il solito strappo, ecc”: chiacchiere) ne parliamo da tempo, con Greco autore del gol vincente? O Koman, appena migliorato nel secondo tempo dopo un primo snervante, con il funambolo Kamata che, nonostante l’ottima prova, riteniamo sia troppo leggerino per le difese delle squadre che occupano i piazzamenti della colonna di sinistra in classifica?

E a proposito di parte sinistra della classifica, nonostante storicamente sia una di quelle impossibili, una trasferta nella quale, come si dice, si parte sconfitti in partenza, Napoli rappresenta a questo punto un bivio: se si riesce a giocare come nel secondo tempo di Roma, come nel doppio San Siro, come contro la Lazio, Ventura sarà costretto a cambiare obiettivo. Ma se giocherà come nel primo tempo di ieri… senza mai dimenticare l’umile motto venturiano “ricordiamoci chi siamo e da dove veniamo”.
Infine una citazione per il pubblico che noi menzioniamo sempre nei nostri editoriali anche se veniamo sistematicamente criticati non costruttivamente: non ci fosse stato il loro calore ieri al San Nicola sarebbe stata dura battere il Siena.

Peccato che non saranno della trasferta domenica prossima. Proveremo noi a riempire il nostro mitico quaderno rosso pregno di appunti segreti con qualche spunto decisivo, a partire da una sfogliata zeppa di crema, passando per un babà al limoncello e finendo con un caffè nel mitico bar Gambrinus di Piazza Plebiscito. Non prima, ovviamente, di aver gustato due “ciccioli”, magari n’gopp a Posillipo.
Massimo Longo

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