Roma Bari

 Editoriale per BariLive 23/11/2009


Sappiamo che confessarlo a posteriori si rischia di non essere credibili ma, detto tra di noi che di “cose” biancorosse ne mastichiamo un po’ di più di qualcun altro che si proclama tifoso docente e discente, unico ed indivisibile (e chi ci legge e chi ci conosce, lo sa che non diciamo bugie), eravamo pressoché certi della sconfitta.

E come non esserlo quando in settimana si percepisce fermento, quando a muoversi non sono i soliti 1000 ma un vero e proprio esodo biblico pronto a marciare su Roma, quando l’entusiasmo tracima da qualsivoglia alveo mentale, quando i biglietti cominciano a non bastare più, quando la follia prende il posto della razionalità, magari con una moglie puerpera lasciata in ospedale, senza pensarci due volte, pur di non perdersi la partita di Roma, quando ci si accorge che tra i 10000 tifosi di Roma, molti sono solo occasionali tipo fidanzatine al seguito che di Barreto conoscono si e no i ricciolini e la tenerezza che incute, o genitori gitaioli con una monetina bronzea da gettare nella Fontana di Trevi così da assicurarsi un possibile ritorno da queste parti, pronti a farsi benedire a mezzogiorno da Ratzinger piuttosto che approfittarne per andare a vedere i recenti scavi sul Palatino, colle sul quale con un aratro, è stata fondata la città eterna tracciandone il pomerium?

Certo, che quel colpo d’occhio all’Olimpico tracimante di felicità, di gioia e di amore per i colori, tuttavia, non lo dimenticheremo così facilmente, e se lo diciamo noi che – è il caso di dire – di acqua sotto i ponti del Tevere ne abbiamo vista passare (leggi di giocatori tornati in vita col consueto gol al Bari con relativa grossa prestazione), statene pur certi. Ne ricordiamo di simili ai tempi di Rimini e San Benedetto del Tronto (vecchio stadio Ballarin, coi tubi terribilmente e pericolosamente “Innocenti”), anni 70-80, quando Fantini, De Rosa e Bagnato indossavano inedite magliette giallo nere, ai tempi di un Lazio Bari vinto dai galletti con un gol di Iorio su rigore all’88 allorquando un carosello di auto trapuntate di biancorosso serpenteggiò per tutto il lungotevere dall’Olimpico fino all’Isola Tiberina, allora sommersa da una piena fluviale nonostante il ristorante della Sora Lella funzionasse benissimo emanando profumi di porchetta e di cacio e pepe di cui siamo ancora inebriati, dopo del quale non ricordiamo simili migrazioni “doriche” bianco-rosse.

Davvero diecimila (ma crediamo fossero di meno, diciamo 8000) da sballo, unici, composti, felici, ironici, pronti a controbattere ai prevedibili sfottò, diecimila tifosi baresi che, idiota a parte che, proprio, non è riuscito a frenare i sensi inibitori scavalcando il recinto ed entrando in campo (speriamo che non ce lo facciano pesare all’Osservatorio) con l’occasione d’oro persa per dimostrare che si è tifosi doc anche nello stile con quei fischi ingenerosi verso Totti, hanno dato lezione di tifo e di civiltà; della qualcosa, probabilmente, l’Osservatorio dovrebbe tenerne conto in relazione a certe decisioni (pensiamo a Napoli). Diecimila che, bomba o non bomba, non solo sono arrivati a Roma ma l’hanno conquistata pacificamente con la civiltà e col buonsenso, merce rara di questi tempi soprattutto per qualche giovanotto audace, ciuccio e presuntuoso, e nonostante qualche appello mediatico inquietante di troppo da parte di qualcuno. Diecimila che, sul 3-0, hanno addirittura ideato la mitica “sciarpata” e che, a fine partita, hanno applaudito Ventura e i suoi ragazzi. Insomma, un’emozione unica.

E meno male che Er Pupone non stava benissimo. Non osiamo immaginare cosa avrebbe combinato se solo fosse stato al top della condizione. Siamo dell’avviso che la partita l’abbia vinta la Lupa Capitolina travestita da Giulio Cesare Totti, ormai sempre più ottavo re di Roma, piuttosto che la Roma perché, con tutta onestà, la squadra di Ranieri, nell’arena del Colosseo Olimpico, ci è parsa tutt’altro che imbattibile soprattutto in difesa nonostante un grande Mexes dove il Bari di Ventura è regolarmente penetrato, sia pur tardivamente, sbagliando la solita razione di gol che a questo punto temiamo diventeranno determinanti per gli obiettivi ma che soprattutto crediamo sia figlia non della fatalità come i soliti inguaribili ottimisti romantici vogliono far passare, ma sicuramente di carenze e di lacune di cui siamo convinti da tempo. Naturalmente, momento-no di Parisi a parte.

In relazione al gioco profuso e alle occasioni create, si sbaglia troppo per una squadra come quella del Bari che deve solo salvarsi. Troppi i gol sbagliati sottoporta dagli attaccanti ma quel che temiamo di più è che non si potrà sempre fare affidamento sul difensore occasionale che svetta di testa, un po’ come faceva 20 anni fa “Giuann” Loseto i cui gol, come si ricorderà, si andavano ad integrare ai più pesanti degli attaccanti.

Ci dispiace che il buon Vitor, su ogni nostro editoriale, salga sul banco degli imputati ma, benedetto iddio, è vero che meglio di lui, al momento, non ce n’è, ma non si possono sbagliare sempre occasioni gol nitide come quelle avute da inizio torneo fino a ieri all’Olimpico. Noi lo dicevamo in tempi non sospetti e i soliti presuntuosi, in eterna sterile competizione con noi, ci hanno criticato, lo ribadiamo oggi: crediamo avesse ragione Antonio Conte nel vedere Barreto assolutamente inadeguato per la A, troppo esile, troppo vulnerabile (strappo eterno a parte) per calcare certi palcoscenici dove ci vuole freddezza sotto porta, magari pur sbagliando qualche gol come nel “De Rerum Natura” lucreziano, ma quei pochi che si ottengono dal gioco diventato da qualche tempo finanche sterile a causa della mancanza di assist, non si possono e non si devono sempre sbagliare. Va a vedere che cominciamo a rimpiangere Donda e i suoi unici “due” lanci millimetrici agli esterni di turno. Almeno lui, errori e discontinuità a parte, li garantiva.

C’è niente da fare, ragazzi, se non si segna non ci si salva pur uscendo tra gli applausi. Ma si vuol davvero rischiare di rompere il giocattolo Bari che Perinetti con tanta cura, professionalità e maestria ha messo su da tre anni a questa parte? Del resto, se proprio vogliamo dirla tutta, dopo Barreto, di fatto, non è che ci sia granché nella dispensa atteso che ormai abbiamo capito che Meggiorini, almeno quest’anno, non ripagherà la fiducia che si aspettava, gli altri sembrano inadeguati salvo la prevedibile giocata casuale di Greco o di Sforzini che prima o poi arriveranno, mentre Kutuzov, purtroppo, da noi sempre adulato, infortunio a parte, sta attraversando un periodo di involuzione che non lo fa esprimere come dovrebbe e che, soprattutto, ci fa preoccupare. Insomma, come dire, dov’è il Bari visto fino a Verona e fin contro la Lazio? E’ vero che, come dice Ventura, si è entrati in campo con un approccio sbagliato e che bisognava evitare leziosità al cospetto di Totti, ma temiamo un contraccolpo psicologico da parte dei giocatori che, lo ricordiamo, sono neo-promossi, mica navigati leoni da A.

Ieri il Tevere non era biondo come nella fantasia popolare romana, e l’odore dell’abbacchio al forno accarezzava le nostre narici, mentre transitando per Trastevere dove la nostra mezza luna, compagna di ogni trasferta (anche se da qualche tempo non in perfettissime condizioni…) illuminava il cielo peraltro non nitidissimo, una mezza luna che ci ha accompagnato fino alla sera, momento di crepuscolare e fisiologica malinconia, soprattutto se si considera che sarebbe stata Roma la città che lasciavamo, mica Sassuolo o Treviso. Mentre ci lasciavamo dietro il Cupolone di vendittiana memoria per raggiungere Fiumicino, abbiamo avuto un riflesso sconsolato, una solitudine percettibile che, a differenza di altre trasferte, ha reso amara la sconfitta, quasi ci avesse svuotato la vecchiaia. Fortuna che certe trasferte si attuano insieme a degni compagni di viaggio sempre pronti lì a confortarti.

Di una cosa, però, siamo certissimi: questo Bari non retrocederà e non faticherà nemmeno tanto anche se, forse, sarebbe meglio non prestare ascolto alle solite voci che intorpidiscono l’ambiente tra potenziali bufalotte casertane travestite da nuovi acquirenti, tra mezzo mondo che pretende la neo coppia di difensori prima del tempo, e chi più ne ha più ne metta.
Roma ha sentenziato che la squadra del Bari deve tornare umile, Ranocchia e Bonucci inclusi ieri pellegrini erranti per il campo anche se con l’attenuante dei troppi viaggi per le nazionali ed infortuni, facendo tornare sulla terra - speriamo definitivamente - i tifosi che, si sa, da troppo tempo a pane e acqua (anzi, solo acqua) e privati da sempre da qualsiasi progetto prestigioso, non ci mettono molto a spiccare voli, ahinoi, pindarici. Basta finanche un rispolverato Kamata che, prestazione buona a parte, difficilmente vediamo idoneo in serie A (Barreto docet).

Che si viva, pertanto, il momento, si continui a seguire la squadra, a non farle mancare il calore e la stima per quello che ci sta procurando. Insomma, come dire, “c’è un’ape che se posa su un bottone di rosa, lo succhia e se ne va…” come scriveva Trilussa che, tradotto per coloro i quali antepongono l’acquisto birra ad un libro (e, ahinoi, sono tanti purtroppo), vuol dire: godiamoci il momento anche perché la felicità è una piccola cosa… Il Bari deve solo salvarsi. Almeno per quest’anno. Punto.
Un’ultima considerazione: sapete qual è la differenza tra il Bari e la Roma? E’ quella per cui, Totti ci mette 27 giorni per guarire da un infortunio grave, Sforzini 3 mesi per uno sicuramente meno grave. E poi un’altra: Totti segna pressoché sicuramente su rigore… qualcun altro no.
Massimo Longo

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