Dalla Laterza riparte La Bari

Barilive 9/6/2010

Primo rendez-vous de L'Altra Città, uomini e donne che credono in una società calcistica degna di Bari 

Non sarà un Giovinco offerto gentilmente dalla ditta Juve come specchietto per le allodole ad entusiasmarci (fa benissimo Angelozzi a mettere i puntini sulle i con la storiella dei pantaloni abbassati), né Pulzetti e nemmeno l’ennesimo giocatore dal nome impronunciabile. Anzi, con tutta onestà, ci auguriamo che Giovinco resti lì dov’è o vada altrove: il sospetto è che arrivi senza quello spirito necessario alla causa e la tifoseria mal digerirebbe una eventuale prima donna con le paillettes, tendenzialmente capricciosa, che possa persino rompere l’equilibrio nello spogliatoio col rischio, tra l’altro, di accomodarsi spesso in panchina visto che il navigato Ventura non guarda in faccia a nessuno, per poi, tradizionalmente, dirsi addio a giugno prossimo magari sconfessando tutti facendosi pure rimpiangere. A lui gli preferiamo giocatori volenterosi e desiderosi di mettersi in evidenza, possibilmente con qualche anno di esperienza in A. Un altro alla Andrea Masiello, per intenderci.
E non sarà nemmeno il probabile addio di Barreto (e col suo, anche quello di Almiron), ampiamente previsti e, puntualmente, criticati, a farci cambiare idea: venerdi 11 giugno alle 18, nell’intercapedine mediatico-calcistica sudafricana, il gruppo istituito su facebook de “L’altra città a cui stanno a cuore le sorti del Bari” emetterà il suo primo vagito nel tempio della cultura barese, ovvero nella Libreria Laterza con la possibilità che divenga una vera e propria associazione.
Una location non casuale quella della Laterza ma voluta e pretesa a tutti costi, in luogo di anonime ed insignificanti sale cittadine, da “l’altra città” che ancor prima di avere a cuore le sorti della squadra ama la città di Bari, assiste al suo sviluppo, ama le sue strade, i suoi angoli, le sue vetrine, è legata alla sua storia, alla sua tradizione culturale ma anche alle sue contraddizioni, e soffre impotente nel vedere che il calcio non riesce a starle al passo nella crescita rimanendo indietro attaccato alla locomotiva fumante dell’improvvisazione, ma soprattutto rimanendo nell’alveo di un ingiustificato ed irritante provincialismo che mal si addice ad una città, comunque la si pensi, metropolitana.
Un’offerta calcistica troppo patriarcale e a tratti anche indisponente rispetto ad un’utenza che meriterebbe ben altra programmazione. Nessuno ha mai chiesto la Coppa dei Campioni (perdonateci, ma a noi piace chiamarla romanticamente ancora così), né tanto meno il “tricolor” ma non crediamo di mentire quando affermiamo che sono risultati onestamente troppi, fin qui, i giocattoli trovati casualmente nell’uovo di pasqua di via Torrebella e regolarmente distrutti senza avere dato nemmeno il tempo alla tifoseria di poterseli godere almeno per un momento.
L’“altra città” non attende la campagna-prestiti da restituire puntualmente a giugno, salvo illusori ed anti economici rinnovi, come spesso capita tra rabbia e rimpianti, per quanto apprezzi molto il lavoro della società nel tentare di (ri)metter su una squadra competitiva in relazione alle risorse economiche: “l’altra città” non attende nemmeno strumentali campagne elettorali per esternare il proprio malcontento (perché, leggendo qua e la, ascoltando le voci dei tifosi, percependo i loro umori - nonostante il decimo posto - sussiste un senso di rabbia diffuso misto a malcontento generale dovuto ai noti motivi nonostante qualche media locale tenti goffamente di non farlo notare), né, tanto meno, ha nulla di personale verso il presidente Matarrese (anche se taluni lo vorrebbero abdicante: ma al posto di chi?) che - è appena il caso di rammentare a quanti, magari, lo dimenticano – nonostante il suo modus operandi di stampa marcatamente meridionalistica, è un imprenditore con la I maiuscola, onesto, serio, lavoratore e a volte persino simpatico, e quindi non solo presidente del Bari ma di una holding composta da tante società da monitorare, spesso in rosso, ma con l’inevitabile conseguenza che la società calcistica, riducendosi allo status di “una delle tante”, non andrà mai a soddisfare le sacrosante esigenze di una popolazione i cui fruitori, si sa, non sono solamente 22 potenziali famiglie, diventate nel frattempo interiste o milaniste, che si affacceranno dai balconi di grattacieli periferici per guardar le coste albanesi o i tramonti adriatici e nemmeno le romantiche lune del vespero sorgere dal mare, ma sono quelli di una città intera, l’ottava in Italia, una provincia enorme, che se solo stimolate come si deve, e non con i soliti specchietti per le allodole ma con un minimo di programmazione, sicuramente risponderebbero alla grande facendo entrare nelle casse della società tanti bei soldini con cui potersi permettere di fare il tanto agognato salto di qualità, troppo spesso preteso solamente dietro una tastiera e, perché no, permettersi persino il lusso di risanare qualche bilancio improvvisamente diventato rosso dell’holding, senza stare ad elemosinare qua e la per banche italiane.
Noi non vogliamo fare i conti in tasca al presidente (e ci mancherebbe) né tanto meno abbiamo la pretesa di imporgli nulla ma quanto meno possiamo fargli sentire il fiato di una città intera, troppo colpevolmente silente, stanca di godere di un prodotto calcistico così gestito. Lui percepisce solo quello dei gruppi organizzati, autentici “numeri uno” nel tifo in Italia (e crediamo, senza presunzione, anche in prospettiva europea) ma, ahinoi, troppo pochi per il rilancio definitivo, gruppi anche discutibili dal punto di vista mediatico: e questo, consentiteci, non è “gettare fango” verso costoro - come qualcuno, ignobilmente, ha tentato di far credere - ma esporre una leale e civile critica costruttiva.
Non ci si aspetti la città intera venerdi: hanno aderito all’invito, perché amanti di Bari e del Bari ma soprattutto perché hanno afferrato lo spirito del gruppo, la gente semplice esasperata della strada, la vera forza della città, quella che piange in diretta radiofonica per un giocattolo strappato dalle mani, quella esasperata dal non poter far nulla davanti al maltolto, fior di professionisti ovvero coloro i quali, da sempre, pur senza percorrere migliaia di chilometri di asfalto per raggiungere Bergamo o Pisa, soffrono dignitosamente davanti alla tv o ascoltano la radio, ma che non perdonano, a differenza dei trasferisti, certe scelte dirigenziali decisamente discutibili.
L’obiettivo è sensibilizzare il Presidente Matarrese attraverso il fiato della città, degli imprenditori non necessariamente del ramo costruzioni, e della provincia affinché comprenda, una volta per tutte, che, pur in un momento di crisi economica, investire con un minimo di budget (e mai come quest’anno ce né in abbondanza) su una squadra di calcio con un bacino di utenza e con una passione come pochi altri in Italia, è un’idea vincente ma soprattutto ha un ritorno di immagine ed economico inverosimile. A volte basta poco per far capire con civiltà e fermezza che dare continuità al buon calcio barese, una volta tanto trovato, andrebbe a riempire quel gap creatosi e che non aiuta a crescere la città. Esiste un’ “altra città” ugualmente tifosa del Bari che merita soddisfazione, una città che vuol diventare “grande” anche calcisticamente dal momento che le basi ci sono tutte. Si cercherà di parlarne, di proporre, di trovare eventuali soluzioni ma soprattutto occorrerà far sentire il fiato di tutti. Noi almeno ci proviamo mettendoci, come sempre, faccia, nome e cognome.
Vorremmo innamoraci del Bari, non limitarci alla “toccata e fuga”. 
Massimo Longo

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