Fiorentina Bari

Editoriale per BariLive 11/1/2010

E pensare che era iniziata sotto i migliori auspici: erano venti giorni che non faceva altro che piovere, l’Arno era in piena, il lago di Massacciucoli - mai stato famoso come in questo periodo - pronto ad esondare, e tutto lasciava intendere che anche quella di ieri doveva essere una giornata piovosa e fredda ed invece, a sentire i fiorentini stanchi di questo tempo, dovevamo arrivare noi baresi per far smettere di piovere e di fare alzare, sia pur di un grado, la temperatura. In effetti Firenze con un raggio di sole in più, e comunque senza pioggia, è un’altra cosa.

Peccato perché anche a premesse non eravamo messi male: l’ex Godot Meggiorini rimesso in piedi in extremis, sul petto il bigliettino da visita di matricola terribile con cinque vittorie - alcune prestigiose - consecutive in casa, una forma atletica invidiabile quando ecco che, dopo averne sostenuti diversi, l’impegno di Firenze doveva essere il vero esame di maturità per i ragazzi di Ventura che da queste parti è molto conosciuto ed anche un tantino rimpianto: meriti e dinamiche a parte, invece, è andata male.

A fine gara la consueta dispensa di complimenti da parte di tutti, da Prandelli a Corvino (che non si è detto certo dell’arrivo di Castillo alla corte di Matarrese), da un commovente e tenero Marcello Giannini, ex volto di un 90’ minuto in bianco e nero che non esiste più, canuto come Plinio il Vecchio ed incupito dagli anni, ad altri colleghi giornalisti, complimenti, si sa, che non sono sinonimo di punti.

Non v’è stata, tuttavia, la tanto temuta presunzione come a Roma e, in parte, come a Napoli, crediamo piuttosto che il Bari visto a Firenze abbia pagato il giusto e prevedibile scotto dell’inesperienza, il fatto di essere pur sempre una matricola, terribile quanto volete, ma pur sempre tale perché questo tipo di partite andrebbero gestite meglio magari mostrando più muscoli e cattiveria agonistica piuttosto che pensare a sbagliare le consuete occasioni gol o piuttosto che perdere palloni a centrocampo, tutti elementi che, come noto, non fanno pendant con la vittoria.

Anche a Firenze, il Bari avrebbe meritato ai punti eppure ha vinto la Fiorentina che, mostrando esperienza, muscoli e sostanza, senza eccellere nel gioco e nelle occasioni, si è portata i tre punti a casa. Altra verità è quella che in viola militano tali Mutu e Gilardino, in biancorosso le solite promesse, e anche questo, se vogliamo, ci sta pure anche perché molte di queste sembrano funzionare. E niente scuse su presunti torti arbitrali amplificati dai media locali giusto per accattivarsi simpatie di tifosi: la Fiorentina ha segnato un gol valido. Il gol di Barreto è stato viziato da un fallo di mano di Meggiorini e su un fallo da espulsione si è sorvolato. Dunque taciamo, meglio. E' lo scotto che si paga da neopromosse, vecchio come gli scatoloni della nonna.

Nulla da rimproverare a Giampiero Ventura, per carità, anche stavolta ha azzeccato le mosse ma non poteva mica azzeccare l’incidente a Ranocchia (distorsione al ginocchio con sospetta lesione dei legamenti), e nemmeno che il gran bolide di Meggiorini si andasse ad infrangere sul palo sinistro di Frey, palo che sta ancora tremando, e magari nemmeno che un Gervasoni, tutt’altro che lucido, espellesse troppo frettolosamente un super Almiron, e si sa, statistiche alla mano, quando il Bari gioca senza l’asso sudamericano è destinato quasi sempre a non rendere più di tanto. Troppo importante per l’equilibrio tattico per poterlo sacrificare ad ogni squadra, specialmente in serie A, ma di un Donati sempre più fuori gioco rispetto all’inizio, e di un Bonucci nettamente in regresso, si, questo avrebbe dovuto tenerne in considerazione (non ne parliamo di Alvarez incisivo quanto volete ma irritante come non mai). D’accordo, l’esperienza dell’ex atalantino e le qualità del giovane genoano sotto i riflettori di mezzo mondo insieme a Ranocchia, devono e possono servire alla causa, ma se da un mesetto abbondante, costoro, non girano a regime, chissà, forse una rifiatata potrebbe essere terapeutica anche perché abbiamo constatato che per la prima volta, dopo lustri e forse anche di più, si può fare affidamento sulla cosiddetta panchina mai stata così lunga come quest’anno. Almeno crediamo, e Belmonte che non aveva mai giocato un minuto, ne è la prova, per non parlare di un certo De Vezze, di Allegretti, di Langella, di Antonelli e compagnia bella.

Canzone triste cantava Ivan Graziani e canzone triste, dunque, quella che Firenze ha tributato al popolo biancorosso giunto in riva all’Arno in 2500 tra tifosi più o meno veri e fidanzate al seguito considerata la trasferta interpretata con lo spirito goliardico tipico da gita scolastica o, se preferite, da “weekend”, speranzosi tra uno scatto digitale davanti a Ponte Vecchio e un altro sul bronzeo Perseo, che la squadra potesse superare l’esame di maturità a pieni voti anche perché, diciamocelo con tutta onestà, pur non perdendo di vista la massima venturiana secondo cui dovremmo ricordarci sempre “chi siamo e da dove veniamo”, ovvero guardandoci sempre le spalle, se una squadra vuole ambire a qualcosa di più prestigioso, una vittoria a Verona - sponda Chievo - su 18 trasferte è decisamene troppo poco: occorre cominciare ad espugnare qualche terreno qua e la pur consapevoli che in A è difficile soprattutto per una neopromossa e il Bari fino adesso, oltre ai soliti complimenti ricevuti da tutto il gotha pallonaro (sacrosanti e meritati) e la solita caterva di gol sbagliati dalla batteria di punte qua e la per l’Italia, non è riuscito ad andare. Giusti, anzi talvolta “stretti” i punti raccolti a Milano, Palermo e Genova (lato Samp) ma decisamente pochi per una squadra che guarda all’Europa. Questa è la verità, la si accetti o meno.

C’è, tuttavia, un girone di ritorno da giocare dove, si sa, conterà soprattutto la tenuta atletica: l’anno scorso il “gruppo” Ventrone garantì un inizio stentato ed un finale in crescendo; non conosciamo benissimo le caratteristiche del “gruppo” Innocenti: speriamo siano simili perché in serie A si devono fare i conti con Inter e Milan che nel frattempo, da settembre quando le abbiamo incontrate, si sono versate ettolitri di antiruggine, con squadre che tireranno la volata per il tricolore e per l’Europa e con squadre destinate a retrocedere che hanno dalla loro, a differenza nostra, l’esperienza, e non con squadre alla Sassuolo, Treviso e Albinoleffe con cui (finalmente) maramaldeggiare era d’uopo, dunque che ci si rimbocchi le maniche e si pensi seriamente a guardarsi innanzi tutto le spalle in attesa dell’anno prossimo dove, con qualche soldino in più, se si ha voglia di investire e di far funzionare a regime il giocattolo Bari, si potrebbe pensare in grande. Già, se si ha voglia…

Il Ponte Vecchio sempre più affascinante, gli Uffizi e Palazzo Pitti lì, a due passi, con le consuete ed interessanti mostre di turno, statue marmoree trasudanti di antichità e superbia, insieme all’adiacente Accademia dei Gergofili, un duomo brunelleschiano mai stato così piacevolmente cromato, ed una Piazza della Signoria sempre meravigliosa coi fantasmi di guelfi bianchi e neri, di ghibellin fuggiaschi, lì, a discutere sulle tematiche chiesa-stato, di “pazzi” congiurati sulla torre svettante, ad un tratto ci hanno fatto venire la voglia di lasciare tutto, pallone, Barreto, Perinetti e Ventura, e tuffarci nella cultura, ispirati anche da una struggente puntatina nella chiesa dove quel bischero di Dante, avvolto nel suo consueto mantello rosso di pittorica memoria, incontrava la nubenda, nonchè musa ispiratrice, Beatrice Portinari, ma, ahinoi, non c’era il tempo per entrare in Paradiso. Almeno ieri, un giorno, magari, si vedrà. Per esorcizzare il momento, pensando a Beatrice, abbiamo preferito degustare la consueta “fiorentina” e una ribollita, per la verità, eccellenti.

Due parole, infine, sui tifosi baresi: che nessuno si lamenti se a Bologna, a Genova e ovunque l’Osservatorio vieterà loro le trasferte: all’imbecillità, all’idiozia e alla demenza non c’è alternativa. Così imparano a mostrare all’Italia il lato peggiore della baresità dopo che il tessuto sociale sano fa di tutto per lavorare e mostrarsi capaci, intelligenti e “normali”, scevri da qualsivoglia etichetta provincial-demenziale. Ma si sa, intelligenti pauca. Purtroppo. E adesso tutti a prendere le distanze dall’imbecille di turno e tutti a dire che “non è giusto”. Noi, al loro posto, lo avremmo individuato senza troppi rimorsi, redarguito, mollatogli un terapeutico ceffone, preso per orecchie come usavano fare i maestri di scuola elementare degli anni 60-70 e lo avremmo consegnato alle forze dell’ordine dando esempio di civiltà e di correttezza, mostrando all’opinione pubblica il vero lato della baresità. Altro che storie e patorie di tifoseria corretta e civile: i primi incivili sono proprio coloro i quali si mostrano indifferenti verso l’idiota. Ma tanto, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Massimo Longo

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