Lazio Bari

Editoriale per BariLive 15/3/2010


Le vittorie non sono tutte uguali pur producendo la stessa resa. Ci sono quelle un po’ prevedibili (come per certe sconfitte), quelle inaspettate e ci sono alcune che emanano un fascino tutto particolare difficile da descrivere soprattutto perché, oltre ad essere inaspettate, sono generate nel contesto di una vigilia agitata dove politica, rumors e voci alte l’hanno fatta da padrona per l’intera settimana.

Impossibile non ricordare la celebre frase “vedi vini vici” di Giulio Cesare che, guarda caso, proprio di oggi venne ucciso un paio di migliaia di anni fa dai suoi senatori: una vittoria affascinante nata arrivando a Roma, studiando il momento e, appunto, espugnando l’Olimpico battendo una Lazio che fino adesso, classifica a parte, non aveva mai convinto.

Nessun decreto interpretativo: è una sconfitta netta, grande così, nonostante la presenza apotropaicamente politica in curva della Polverini i cui manifesti elettorali imperversavano nauseabondi come i funghi sui muri nell’Urbe. Meno male che Nichi e Adry non sono tifosi di calcio e non li vedremo mai in curva. Piuttosto si corre il rischio concreto di vedersi Rocky dalle parti della nord che, improvvisamente, è diventato simpatizzante bianco-rosso. Così va la vita, oggi di qua domai di là.

Un primo tempo di una noia mortale che se solo fosse stato vivo Moravia avrebbe aggiunto un capitolo nella sua celebre “Noia”, un primo tempo difficile da descrivere ma non tanto per il Bari che pure ha fatto poco e nulla, quanto per la squadra della tifosa Polverini che è apparsa impacciata, timorosa, imbarazzante, una prestazione intrisa di errori a go-go, senza nerbo e confusionaria nel quale abbiamo segnalato un solo tiro, più o meno in porta, indirizzato verso Gillet dal numero 15 laziale entrato al posto di Matuzalem, obiettivamente (ci scusino i lettori), impossibile da pronunciare e da scrivere.

Pur essendo partiti per Roma, a differenza della massa dei tifosi tastieromani, con un moderato ottimismo, confessiamo che a primo tempo terminato abbiamo avuto come il sospetto che quella tranquillità mostrata dalle due squadre potesse celare il classico tragico finale per il Bari già visto in celebri precedenti: un gustoso biscottino sembrava pronto per essere tirato fuori dal pacco del mulinobianco ed invece no; nonostante qualche dribbling da brivido di Gillet quasi come Pelè, qualche retro passaggio difensivo di troppo e un atteggiamento remissivo dei biancorossi, ecco come il Bari, svegliandosi nel secondo tempo, ha dimostrato di essere più forte anche di fronte a queste cose, un Bari epicureo che, pur senza strafare, ha ottenuto il massimo risultato col minimo sforzo ipotecando, a questo punto, la salvezza.

Una vittoria, probabilmente, epocale al cospetto di 5000 tifosi giunti nella capitale sia per tifare che, come spesso accade in questo tipo di trasferte gitaiole, per gettare monetine nella Fontana di Trevi, in cui il Bari ha ottimizzato al 100% le occasioni avute che, pur senza Barreto, Rivas, Ranocchia, Kutuzov e Parisi, grazie ad una papera del portiere Muslera uscito goffamente su un cross di Allegretti sul quale Almiron, con uno zampino provvidenziale, ha siglato il gol del vantaggio e grazie ad un contropiede micidiale targato Meggiorini-Alvarez, ma soprattutto grazie all’impresa di Super Gillet che ha parato un rigore, hanno espugnato l’Olimpico tra una serie di “mortacci sua” inenarrabili che son piovuti un po’ da tutte le parti dello stadio facendo andar via dalla tribuna vip anzitempo tra una pioggia di fischi il presidente Lotito. E se comincia a non sbagliare pure Alvarez… è sinonimo di un cambiamento dei tempi da non sottovalutare.

Una difesa anche ieri super nella quale hanno svettato le testoline di Bonucci e dei due Masiello in determinanti momenti, con Belmonte che ha annullato Rocchi, un centrocampo non spettacolare ma concreto con Donati appena (e finalmente) migliore rispetto a precedenti prestazioni, hanno bloccato le fonti di gioco, già di per se spuntate, della Lazio che pure vanta individualità di prim’ordine e che, se in forma, possono risultare nettamente superiori a quelle del Bari. Ma - ci perdonino i lettori se ogni tanto sfoderiamo una certa presunzione - sappiamo che proprio in queste tipologie di partite il Bari riesce a dare il meglio di se, e così è stato.

Ventura, che è un Signor allenatore proveniente dalla “strada”, felice come un bambino in conferenza stampa si è mostrato orgoglioso della sua squadra ricordando che un po’ tutti la vedevano già retrocessa sin da gennaio. Tutti meno noi, e i nostri articoli d’epoca lo stanno a testimoniare. Una squadra messa su con meno improvvisazione grazie a Perinetti ma certamente senza programmazione come nello stile di Matarrese (pur senza dimenticare che, finalmente, qualche soldino lo ha uscito), i cui primi vagiti hanno cominciato ad echeggiare nelle valli di Ridanna tra una fetta di speck e un odore nauseante di crauti, il tutto accompagnato da una birra eccellente.

E adesso, per favore, che si dia un seguito a questo lavoro: la piazza è pronta al grande salto, la città è diventata più europea, i centurioni ci sono e sono quelli giusti: insomma, caro Presidente, cosa aspetta ad investire qualche milioncino in più? Sarebbe davvero un delitto non osare. Infondo i tifosi si accontentano di poco: vede, basta un Kamata qualunque (con tutto il rispetto per il simpatico funambolo) per farli andare in tilt. Immagini cosa potrebbe accadere se arrivasse qualche altro, come dire, dal nome appena più altisonante… un altro Almiron, per intenderci.

E a proposito della “puzza di bruciato” percepita in settimana mista alle corruzioni e agli intrallazzi politico-calcistici di cui abbiamo accennato all’inizio, siccome ci piace esorcizzare certe situazioni, come da tradizione, sabato sera abbiamo percorso i vicoli di Trastevere in cerca di ispirazione sulle tracce di Trilussa e del suo pensiero poetico accompagnati da una crepuscolare e allegra malinconia al punto che le nostre attenzioni sono cadute su Via della Scala, una strada trasteverina che ha ispirato Stefano Rosso, cantautore romano recentemente scomparso (quello che cantava, per intenderci, “che bello due amici una chitarra e uno spinello”) forse sconosciuto ai giovani d’oggi più interessati, ahinoi, a tutt’altro genere musicale.

E tra i muri pregni di storia è apparsa, come d’incanto, una trattoria all’altezza del civico 26: non ci abbiamo pensato due volte ad entrare per gustarci due spaghetti alla carbonara (preferendoli all’abbacchio che a quell’ora sarebbe potuto risultare pesante) che, come quelli alla bottarga gustati a Cagliari, hanno deliziato il nostro palato, ultimamente aspro da troppe sconfitte in trasferta. Con la carbonara non poteva mancare un eccellente vinello rosso dei Castelli e, si sa, il vino ammazza l’anemia… e non solo l’anemia, anche l’invidia.

Insomma, un Bari prigioniero della tavola che dopo la misteriosa panzerottata di Ventura, a quanto pare assai propizia, e varie specialità dei luoghi cui rendiamo visita, riesce a risultare vincente.
E a proposito di sogni e di certezze che regalano la squadra del Bari di questi tempi, mutuando una celebre canzone che a noi idioti che muoiono d’amore piace tanto, ci piace pensare al tempo: esiste un tempo per seminare e un altro più lungo per aspettare, un altro sognato che viene di notte e un altro di giorno teso come un lino a sventolare, aggiungiamo, bandiere biancorosse. Noi, che abbiamo aspettato tanto, preferiamo pensare che c'era un tempo sognato e che bisognava sognare ed un altro in cui bisogna crederci. E subito. Soprattutto ascoltando i “silenzi” di Perinetti quanto mai chiassosi ed eloquenti che, probabilmente, nascondono qualcosa di importante…
E adesso sotto col Parma di Guidolin, navigato ed esperto quanto si voglia, ma terribilmente piagnucolone. Adesso c’è un tempo per divertirsi.
Massimo Longo

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