Solo uno splendido grande Bari

Editoriale per BarLive 13/12/2009

Solo uno splendido grande Bari
La squadra fa sognare: anche la città vorrebbe sognare

 Anche in questa occasione – non ce ne vogliano i lettori se ostentiamo certezze a posteriori - un vago e sincero presentimento ha fatto capolino nella nostra mente sin da domenica scorsa a Napoli quando Romeo ha sventolato troppo frettolosamente almeno un cartellino rosso. Confessiamo – e chi ci conosce e chi ci legge sa che non diciamo bugie - che con un Bari in emergenza eravamo pressoché certi della vittoria anche a costo di sembrare impopolari. 

Ne abbiamo viste tante e, se permettete, ne sappiamo qualcuna in più di qualche altro: da sempre, infatti, il Bari, da Catalano ad Asnicar, da Biloni al mitico Guastella, da Soda a Maccoppi, da Cassano a Diamoutene, ha reagito alla grande sfoderando prestazioni orgogliose e reattive come, appunto, quella di ieri sera quando i fantasmi erranti e festanti di Hugo Ennynaya e quel bischero nubendo di Tonino Cassano, insieme a quello di Antonio Soda - tutti giocatori messi in campo più per necessità che per convinzione - hanno cominciato a svolazzare candidamente sul San Nicola stracolmo di gente e dove la nostra amica luna – ieri a casa in permesso retribuito - ha ceduto il posto al freddo e al colore biancorosso. Peccato, forse un bicchiere di novello e due caldarroste sarebbero state gradite e avrebbero aiutato a far sentire meno la mancanza dell’astro.

Ranocchia e Parisi, insieme agli eterni infortunati, fuori causa? Niente paura: ecco Diamoutene, Rivas, Stellini e il redivivo Gazzi prendere il loro posto per metaforizzare le gesta di Cassano ed Ennynaya, sia pur con qualche preoccupante giocata soprattutto da parte di Diamoutene apparso - come dire - un po’ troppo approssimativo in talune circostanze ma assolutamente determinante nell’economia della vittoria.

E pensare che fino ad un’ora prima il match sembrava dovesse scivolare sul prevedibile canovaccio provincial-paesano pregno di spettacolarizzazione - alla canalecinque-retequattro-italiauno di fediana-feltriana-signoriniana memoria per intenderci - e meno sostanza, con i soliti brani disco-music sparati ad altro volume per scaldare gli infreddoliti spettatori e frasi improbabili secernenti grotteschi entusiasmi che hanno reso il momento una vera sagra paesana (ci mancavano le noccioline, i palloncini e le majorette), complice anche qualche “paesano” juventino di troppo giunto a Bari dalla provincia, dalla regione e qualche contrada lucana, calabrese e molisana, ma soprattutto, direttamente dalla città stessa: meno male che ci hanno pensato quelli della Nord a rompere definitivamente l’incantesimo saltando col solito slogan anti-giallorosso, con i sacrosanti sfottò agli odiati fratelli baresi filo-juventini divenuti tali anche per colpe ataviche societarie, e la riesumazione, con relativa esposizione, di in glorioso striscione (“forza vecchia stella del sud”) giusto per ricordare a tutti che stava per cominciare una partita di calcio vera e particolarmente sentita e non, invece, le acrobazie delle Frecce Tricolori della festa di maggio di San Nicola.

Ancora con lo stomaco in subbuglio a causa dei quattro wrustel serviti in salsa bavarese, la Madame Bovary di Blanc “Flaubert”, amante adultera del calcio italiano elegantemente vestita, finalmente, col tradizionale taiellur bianconero e non, invece, con quell’odioso e spoetizzante giallocromato, ha dovuto ingerire, stavolta, anche tre gustose braciole al ragù barese, con rigorosa sckuanta, fermate dal tradizionale filo cucito attorno alle pareti avvolte negli ingredienti e relativo stuzzicadenti infilzato, una Juventus, però, a cui il 3-1 sta onestamente stretto: non ha giocato male, tutt’altro, e forse ha ragione pure Ciro Ferrara che in sala stampa ha detto che meritava di più, sebbene non sia stato obiettivo sulle conclusioni del Bari: lui ne ha viste solo tre, rigore incluso, noi qualcuna di più. Le sue trame pericolose le ha tessute, le sue buone occasioni le ha pure avute, eccome, Trezeguet e Amauri non si sono lasciati sfuggire un solo pallone in area barese e se non fosse stato per il mitico Gillet e un po’ di fortuna, chissà… ma forse proprio per questo la vittoria del Bari assume una valenza straordinaria perché è riuscito a vincere una partita che l’ha visto soffrire parecchio in difesa.

Diamoutene, encomiabile dal punto di vista dell’impegno, non è risultato sempre impeccabile nel disimpegno; troppi palloni approssimativamente ribattuti ed ecco i soliti fantasmi di Madsen Rizzardi e Calcaterra e talvolta anche Terracenere (celebri i loro retropassaggi al cardiopalma) di colpo materializzarsi. Ma era alla sua “prima” nel Bari, dunque, ci stava pure. La mancanza di Ranocchia si sentiva, eccome, troppe palle calamitate dalle teste di Trezeguet e Amauri provenienti dai cross di Marchisio: meno male che ci hanno pensato Bonucci ed uno stoico Stellini a sbrogliare matasse, spesso, pericolose, ovviamente con la solita garanzia Masiello.

In attacco qualcosa è cambiato: quei passaggi uno-due con tanto di finta (quelli tra Kutuzov e Barreto, per intenderci), si vedono sempre meno e, al loro posto, si intravede qualche lancio lungo a servire Alvarez e Barreto che gioca da prima punta, lanci che spesso vengono ottimizzati e che provengono finanche da un difensore come Bonucci, giocatore ormai assolutamente completo.

Finalmente è tornato a pungere il nostro amico Rick Godot Meggiorini il quale, grazie a Ventura che lo ha adattato a quel tipo di gioco, ha sfoderato la sua tecnica sopraffina di cui non abbiamo mai dubitato sintetizzandola con un gran bel gol anche se “sporcato” da una deviazione. E’ che dovrebbe dimostrare continuità. E con un Barreto tonico, sempre in palla (il contrario di quello visto fino adesso che, addirittura, riesce a realizzare persino i rigori), cosa si vuole di più dalla vita?

Almiron, gol a parte, è davvero il valore aggiunto di questa squadra, quello che fa pendere la bilancia quel tantino in più dalla parte della qualità. E’ che insieme a Donati (da qualche tempo palesemente stanco) non garantisce quel filtro necessario a salvaguardare la difesa che è costretta a fare gli straordinari, a diventare un tantino più fallosa con i conseguenti e tristemente recenti risultati. Chissà, forse Ventura capirà che è giunto il momento di far spazio all’oplita spartano Gazzi, unica alternativa ad un prefiltraggio difensivo assolutamente necessario per l’equilibrio del gioco, soprattutto adesso che sembra essersi ripreso.

Di Rivas sapevamo che ha giocato per una questione di “quorum” ma, qualche inevitabile defaillance a parte, riteniamo se la sia cavata benissimo. Le coraggiose ed intuitive mosse del mister genovese (Kamata su tutti) poi hanno fatto il resto.

Tecnica, umiltà, sostanza, pizzico di inesperienza e coraggio: sintesi perfetta di una squadra neopromossa che quando va in campo, tranne che nel primo tempo di Roma, si ricorda sempre “chi è e da dove viene” come decanta ciclicamente Ventura ai microfoni.

Se a questo, poi, aggiungiamo che il rigore juventino è stato sbagliato da un giocatore (Diego) il cui valore unitario (20 milioni) è superiore a tutta la squadra biancorossa, beh… cosa dire e volere di più?
Con quella faccia un po’ così e quell’espressione un po’ così dettate dalla consapevolezza di andare in trasferta, finalmente, e di giocarsela con tutti alla pari e, male che vada, di prenderle dignitosamente e in piedi, ci si accinge a tornare a Genova - stavolta sul versante rossoblu - colori amati da De Andrè e noi proveremo a ripercorrere quei carruggi tanto cari al cantautore consapevoli di potervi descrivere, anche stavolta - a proposito di Diego - che dai diamanti non nasce niente ma è dal letame che nascono i fiori.
Infine, solo una domanda: ma Alvarez quando la metterà dentro? Ma pure per sbaglio andrebbe bene lo stesso. Chi ci risponde?
Massimo Longo
 



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